|
GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA MONETAZIONE CLASSICA | Lamoneta.it (Manuale) |
1) Un meraviglioso mondo di suoni |
Sin dalla sua più lontana origine,
l’uomo viveva immerso in un mondo di suoni affascinanti: il fruscio del vento
tra le fronde, lo sciabordio del ruscello tra le pietre, il frinire delle
cicale al tramonto. Suoni capaci di trasmettere profonde emozioni, ora di
serenità, come il canto degli usignoli prima ancora che il sole si affacci al
nuovo giorno; oppure inquietudine e timore, come l’ululato del lupo o il cupo
ruggire della tigre.
Per l’uomo antico, il suono
era magico, divino: toccava le corde più profonde del suo sentire. Ascoltarlo,
ma anche imitarlo. L’imitazione degli uccelli – animali magici per eccellenza
poiché dotati del potere divino del volo – fu forse all’origine del canto, del
tentativo di imitare quei suoni che tanto impattavano sul suo spirito.
La voce fu il primo strumento
dell’uomo. Voce che imitava gli uccelli, ma anche il complesso suono del creato.
Qualcosa, forse, ci resta ancora di quel primo canto primordiale: i “tenores”
sardi corali vocalizzanti giustamente inserite nel patrimonio dell’umanità. Ma
ben presto alla voce l’uomo aggiunse uno strumento naturale capace di
modificarne ed ampliarne il suono: una grossa conchiglia a forma di corno. Ne
troviamo un bellissimo esempio in una emilitra di Agrigento:
|
Fig. 1. Emilitra di
Akragas (420- |
L’uomo ancestrale si accorse
che una foglia tesa inserita tra le labbra, esercitando la giusta pressione,
soffiando emetteva un suono diverso da quelli usuali, in qualche modo
modulabile in base al tipo di foglia, alla forma, a quanto fosse tesa… Scoprì l’ancia,
alla base di tutta una famiglia di strumenti a fiato. Anche l’ancia, quindi, si
aggiunse ai modi naturali di produrre suoni. Sempre ai primordi della storia
umana, l’uomo si accorse che un cilindro cavo (un osso, una canna di bambù)
chiusa ad una estremità, produceva un suono molti intenso se si soffiava
trasversalmente sull’estremità aperta: lo zufolo e l’uomo si erano incontrati. Due
pietre colpite tra loro, infine, forniva un’altra classe di suono. Ogni pietra
aveva una sua sonorità propria, ma dotata di scarsa potenza. Ben diversa,
invece, era la potenza del suono emesso da un oggetto cavo, un tronco, ad esempio.
Sin dai primordi, quindi, l’uomo
utilizzava tanto la propria voce, quanto oggetti naturali, per imitare i suoni
della natura, per arricchirla di suoni diversi, dei quali egli stesso era l’autore.
In epoche successive, al
suono si aggiunse il ritmo, ovvero una regolarità nel tempo di emissione del
suono medesimo. La percussione, probabilmente ottenuta con gusci di tartaruga
od altri oggetti simili, facili da conservare e da trasportare nel nomadismo
dei tempi, favorì la socializzazione, il “ritmare” insieme, ed il canto si
trasformò profondamente. Da suoni dal tono non predefinito, imitativi della
natura o semplicemente espressione di uno stato d’animo del momento, si
trasformarono in successioni codificate di suoni, necessarie affinché, insieme
alla ritmicità, fosse possibile in gruppo creare una sonorità gradita all’orecchio.
Nacque, dunque, la melodia. Suoni, melodia, ritmo: ecco gli elementi che,
insieme, danno vita alla musica e in questo processo fu fondamentale la socializzazione[1].
La conchiglia, la foglia
usata come ancia, il cilindretto cavo, il guscio di una tartaruga, mal si
prestavano ad un uso sociale, in quanto sì emettevano suoni, ognuno con un suo
tono, ma privi di una tonalità comune, quindi incapaci di accompagnare la
melodia del canto. I nostri progenitori, tuttavia, avevano osservato come il
tono ottenuto soffiando sul bordo di una canna chiusa all’estremità, fosse
diverso in relazione alla lunghezza e larghezza della canna stessa; ma anche
come una fessura, od un foro, permettessero il passaggio da un tono all’altro,
semplicemente aprendo o chiudendo lo stesso. Da questa osservazione derivò l’arte
di modificare artificialmente un oggetto naturale che produceva un suono, in
modo tale da poterne modificare il tono e consentire che questo stesso fosse intonato
alla melodia del canto e consentisse a più persone di emettere insieme suoni
tra loro armonici. Fu così che dallo zufolo si giunse al primo flauto. Ancora
una volta la socialità rivestì un ruolo centrale nello stimolare il percorso che,
iniziato con una semplice emissione di suoni che imitavano quelli naturali, si concluse
con la capacità di “suonare in sintonia”. Ciò fu possibile quando l’uso di
oggetti naturali come pietre, canne, tronchi svuotati, conchiglie, fu
sostituito dalla fabbricazione di veri e propri strumenti musicali.
Nel mondo occidentale, ed in
particolar modo nel bacino del Mediterraneo, la strumentazione musicale del
mondo paleolitico incontra nella raffinata cultura egiziana l’artefice di una
sua prima grande evoluzione. Il flauto si fa più complesso, con modelli
differenti per forma e per materiale, che permettono estendere la scala
musicale e produrre timbri assai diversi. L’applicazione di un’ancia consentì
al mondo dei Faraoni di ottenere dal flauto sonorità del tutto nuove: nacque
così l’oboe, tanto simile al flauto nella forma, ma così diverso nel timbro.
Si sviluppano diversi strumenti
di percussione, Alcuni, di maggiore dimensione, sono costituiti da corpi cavi,
una faccia dei quali è coperta da una pelle tesa sulla quale agisce un elemento
di percussione: vengono così ideate diverse forme di tamburo e tamburello.
Altri, più piccoli, hanno al loro interno l’elemento di percussione (semi,
palline di creta o di metallo), oppure il suono viene prodotto dallo
sbatacchiare di elementi metallici, generalmente discoidali.
Sempre presso gli egizi, già nelle
prime dinastie vediamo come dall’arco musicale a più corde fossero giunti alle prime arpe, antesignane
degli strumenti a corda: sono strumenti
ormai molto evoluti, ma che non nascondono le loro origine
dall’utensile venatorio.
Quando la
splendida rivoluzione
culturale del mondo greco si affaccia all’orizzonte, dunque, il Mediterraneo è
un’area ricca di musica e di numerosi strumenti musicali, ormai ben definiti e
codificati.
La musica per la società
greca è un fattore centrale della cultura. Già nel V secolo aC, il termine
mousikòs anèr (uomo musicale) designava la persona colta, e, al contrario, con
àmousos (privo di musicalità) la persona rozza. Il musicista, sia esso cantante
o strumentista, entra a buon diritto nella élite della società e vi sono alcune
testimonianze che fanno pensare che venissero prodotte medaglioni d’argento e d’oro
per premiare i vincitori delle gare musicale, alla stregua dei campioni
olimpici.
All’importanza sociale
attribuita alla musica dal mondo greco, si aggiunse anche la determinazione dei
criteri matematici che reggevano l’altezza dei toni, e con essi le dimensioni
esatte che dovevano avere gli strumenti musicali per produrre la giusta
intonazione, indispensabile affinché suonatori diversi potessero suonare in
armonia. Questo straordinario lavoro teoretico si deve al genio di Pitagora
(570-
|
Fig.
2. Sigillo romano del III secolo aC, raffigurante Pitagora. |
2) Dallo zufolo al flauto di Pan e all’oboe |
La trasformazione dello
zufolo monofonico in uno strumento polifonico, può avvenire in due modi:
moltiplicando le canne dando ad esse una lunghezza scalare, il flauto di Pan;
oppure inserendo delle tacche o dei fori in una canna allungata, in modo tale
che l’apertura dell’uno o dell’altro foro ne modifichi la lunghezza effettiva,
il flauto.
Il flauto di Pan risale alla
notte dei tempi. Eppure il mondo greco lo percepì talmente proprio, che ne
attribuirono l’invenzione ad una divinità del loro panteon: Pan. Questi si
innamorò follemente ma non ricambiato di una ninfa, Syrinx. Tentò di possederla
ed ella, per sfuggirgli, si trasformò in canna palustre, sicché Pan si trovò
tra le mani un ciuffo di legnetti anziché le chiome della bella ninfa. Deluso,
si mise a sospirare ed il suo sospiro vibrò dentro le canne, dando vita ad un
suono dolce e disperato, Pan pensò che in quel modo avrebbe potuto possedere almeno
il ricordo della ninfa: legò le canne dalla più corta alla più lunga e diede
allo strumento il nome dell’amata: siringa. Non è dunque strano che il flauto
di Pan appaia frequentemente sulla monetazione greca, soprattutto in Arcadia, mentre
è assai rara la raffigurazione del suonatore di siringa.
|
Fig.
3. Obolo di Megalopoli ( |
|
Fig.
4. Emilitra di Siracusa a nome di Timoleone (344- |
Fig. 5. Il dio Pan suona la siringa in un piccolo bronzo romano di Pella (Macedonia), del tempo di Filippo II (247-249 dC). |
Ad una dea, Pallade Atena, i
greci attribuirono l’invenzione anche di un altro strumento a fiato, l’oboe
(aulòs), che venne suonato soprattutto in una versione a doppia canna
(diaulos), una di melodia ed una di bordone, invenzione attribuita alla musa
della lirica, Euterpe. L’oboe a doppia canna è ancor oggi di uso frequente
nella Palestina.
|
Fig. 6. Suonatore di diaulos. Bronzo di Apameia, Frigia (148- |
|
Fig. 7. |
La raffigurazione del flauto sulla monetazione greca
pare essere assente, mentre è relativamente frequente quella del diaulos. Il
fatto potrebbe stupire, considerando l’importanza attribuita al flauto dalla
cultura greca: basti pensare al bellissimo mito di Orfeo. Probabilmente vi è
una difficoltà di interpretazione dei termini e nella visione greca lo stesso
Orfeo forse intonava le sue struggenti armonie con un diaulos, anziché con un
flauto.
3) Arpe, lire e cetre |
La determinazione delle
regole fisiche che sovrintendono al tono realizzata da Pitagora, permise
determinare la lunghezza esatta che doveva avere ogni corda od ogni canna per
emettere una nota specifica. Ciò aprì la strada alla realizzazione di strumenti
a corda via via più complessi, capaci da assicurare un’ampia gamma di armonie,
sempre perfettamente intonate. Non stupisce, quindi, se gli strumenti a corda –
arpe, e soprattutto, lire e cetre[2] – rappresentassero il
fulcro della musica della Grecia classica. La musica della romanità, invece,
pur usando ampiamente gli strumenti cordofoni, dava più rilievo agli ottoni –
trombe, tube e corni – più consoni allo spirito dell’impero.
L’arpa, che appare
frequentemente negli affreschi egizi, sembra invece assente nella monetazione
greco-romana, sebbene di quando in quando appaia nella pittura fittile greca o
negli affreschi romani.
Una delle più classiche
rappresentazioni della cetra la ritroviamo su un bronzetto della Giudea,
attribuito al tempo della rivolta di Bar Kohba. Si tratta della forma iniziale
dello strumento: esso è ancora privo della cassa di risonanza, ha cinque corde,
ed i bracci appaiono essere realizzati utilizzando due corna.
|
Fig.
8. Piccolo bronzo giudaico (Bar Kohba, 135- |
Sempre dalla Giudea ci
giunge la rappresentazione di uno strumento molto simile, con tre corde, nel
quale la dimensione della base, più massiccia e forse cava, mostra la ricerca
di una maggiore sonorità grazie all’introduzione di una cassa armonica.
|
Fig. 9. Dracma della Giudea
(Bar Kohba, 134- |
La cassa armonica, infatti,
è essenziale per assicurare allo strumento non solo un suono più dolce ed
armonioso, ma anche una sufficiente sonorità da poter essere abbinato ai fiati,
senza restarne sopraffatto.
Una prima soluzione sembrerebbe
essere assicurata dall’uso di una cucurbitacea, come si osserva in piccolo
obolo di Canusio (Apulia).
|
Fig.
10. Obolo di Canusio (Abulia), 300- |
|
Fig. 11. Emidracma di Teos
(Jonia), ca. |
La soluzione che sembra
essere stata più gradita – ed infatti si è protratta per non meno di 4 secoli –
è data dall’adozione di un guscio di tartaruga, al quale si sovrappone una
pelle bovina, stesa a guisa di tamburo. La rappresentazione di questa lira, che
nel mondo greco appare codificata a quattro corde[3],
si ritrova su numerose monete, tanto greche, quanto romane.
|
Fig.11.
Bronzo di Thespia (Beozia), |
Fig. 12. Aureo di Augusto ( |
Le lire greche più
antiche avevano 4 corde e anch’esse erano di derivazione asiatica e africana.
Terpandro, nel sec. VII aC., perfezionò la lira a 4 corde portandola a 7,
precedendo l’evoluzione del sistema di notazione musicale che alcuni secoli
dopo si trasformerà da tetracordo a eptacordo.
|
Fig.
13. Denaro di Papio Celsio (ca. |
Quando il livello degli
artisti lo consentì, si introdusse la cassa di risonanza in legno. A questo
punto, il passo a realizzare in un corpo unico cassa di risonanza e bracci fu
molto rapido e nacque la cetra. Ciò consentiva non solo di costruire strumenti
di grande pregio estetico, ma anche di migliorare in modo straordinario la
qualità del suono, raggiungendo livelli di tutto riguardo anche se confrontati
con la liuteria attuale.
Inizialmente la cetra ebbe
le corde collegate alla cassa armonica in modo non dissimile dalla lira.
|
Fig.
14. 12 ½ litre di Agatocle (Siracusa), 317- |
Con l’aggiunta del
ponticello tra le corde ed il piano armonico, si compie un passo avanti molto
importante in termini sia di qualità, che di intensità del suono.
|
Fig. 15. Emidracma di Alicarnasso |
Progressivamente
aumentò il numero di corde, che giunse sino ad un massimo di 12. Infine si
risolse il problema di assicurare una tensione delle corde più precisa e
facilmente dosabile, e così una
intonazione sempre più precisa, inserendo dei marchingegni collegati ad ogni
corda, precursore degli attuali tiracantini. E’ così che finalmente
l’evoluzione della cetra giunse al suo compimento, con la realizzazione di uno
strumento dal timbro melodioso, dall’intonazione precisa e dotato di grande
versatilità.
|
Fig. 16. Tetradramma di Olyntos (Calchidia),
432- |
Tanto la lira, come la
cetra, veniva generalmente suonata tenendola sollevata con una mano, nei
modelli più piccoli; in grembo, per quelli intermedi; appoggiata su di un
tripode, per quelli di maggiore dimensione. I suonatori di cetra godevano di
grande consenso sociale e non pochi imperatori romani si cimentarono – e
talvolta brillarono[4] – in
questo strumento, considerato dai greci come quello prediletto dagli dei.
|
Fig. 17.Cistoforo di Adriano per Hierapolis (Frigia), 117 dC. |
|
Fig.
18. Piccolo bronzo di Gordiano III per |
|
Fig.
19. Asse di Gordiano III per |
4) Gli strumenti per ritmare |
La realizzazione di strumenti in grado di assicurare intonazioni
precise ed omogenee, stimolava la musica d’insieme. Con l’invenzione della
cassa di risonanza, gli strumenti a corda non erano più soffocati
dall’intensità di quelli a fiato ed inoltre i primi potevano agevolmente essere
accordati con i secondi aggiustando finemente la tensione dell’accordatura. Ai
gruppi musicali, già dotati di un’ampia gamma di armonia e sonorità, si aggiungevano
gli strumenti di percussione in grado di completare l’insieme assicurando una
migliore ritmicità.
Al proposito, il mondo greco aveva già a disposizione
una gamma di strumenti provenienti dai tempi più remoti, già sufficientemente
perfezionati. Ad essi vennero date forme esteticamente più belle o più
decorative, ed altri miglioramenti furono ottenuti nella scelta dei materiali
con i quali realizzarli.
Il suono grave veniva assicurato dal timpano, un tamburo
con un diametro che oscillava tra i 20 ed i
|
Fig. 20. Aureo di Faustina (145-161 dC). |
Fig 21. Dupondio di Gordiano III per Antiochia, 238-244 dC. |
Per
assicurare un suono più allegro e vivace, era frequente l’uso del sistro:
questo, di origine egiziana, consisteva in una lamina metallica a ferro di
cavallo, trapassata da tre o quattro asticciole mobili e terminante in un manico
dritto, scotendo il quale si otteneva un suono molto caratteristico.
Fig. 22. Asse di Giuliano II, 360-363 dC. |
Le nacchere o crotali, infine, trovavano impiego anche
nella musica d’insieme, e non solo nella danza.
Fig.
23. Statere di Corinto (386- |
5) L’organo idraulico |
L’organo idraulico fu il più
complesso strumento musicale del mondo classico. Plinio ne attribuisce l’invenzione
a Ctesibio, un matematico alessandrino che verso la metà del III secolo aC fu
direttore del museo della città. Sua moglie Thais ne fu una virtuosa
famosissima, tanto che il suo nome è quello del primo esecutore strumentale di
cui si abbia memoria. La complessità della sua costruzione e la necessità per
l’esecutore di essere coadiuvato da una o due persone, ne limitarono grandemente
la diffusione.
Nella monetazione greca non appare.
Esso, invece, lo ritroviamo su alcuni rarissimi contorniati o medaglioni romani,
le caratteristiche dei quali fanno ragionevolmente supporre che fossero stati
realizzati in modo specifico per premiare i migliori virtuosi dello strumento,
forse in occasione di certami musicali, alla stregua dei vincitori olimpici.
|
Fig. 24. Contorniato di Valentiniano III (a
sin.) e di Nerone (a destra). |
Nei due esempi riportati, entrambi presenti nel
Cabinet des Medailles di Parigi, appaiono rispettivamente i nomi di Petrus e di
Laurentius: è plausibile che siano due virtuosi dello strumento, premiati con
il medaglione realizzato ad hoc.
6) Il gruppo musicale |
Nel mondo greco era ben presente e molto apprezzata
l’esecuzione strumentale realizzata in gruppo, ovvero l’orchestra, e quello
romano ne fu l’erede.
Nella seconda metà del ‘500, sorse una vivace disputa
tra gli accademici fiorentini se la tragedia greca fosse interamente cantata,
oppure se i momenti musicali ed i cori ne costituissero un complemento: Peri,
Caccini, Bardi e Monteverdi ne furono tra i protagonisti. La stessa parola
“tragedia” contiene la radice adein (=cantare) ed il coro ne rivestiva una
funzione centrale, non certo marginale. Al coro corrispondeva non solo il
canto, ma anche la danza: da lì il termine orchestra, da orcheomain (=danzare).
Originariamente, la tragedia fu strettamente connessa
al culto di Dionisio ed al sacrificio del caprone che lo accompagnava, il quale
avveniva tra canti accompagnati da suonatori di crotali, timpani, flauti. Già
nel VI secolo aC perde il suo carattere dionisiaco, per assumere quello propriamente
teatrale e lirico tramandato sino ai giorni nostri.
Sia che fosse interamente musicato, oppure che alternasse
musica, canto e recitazione, il teatro greco era uno spettacolo di massa, non
elitario, al quale partecipava la polis nella totalità delle sue componenti
sociali.
Vi erano molteplici occasioni perché si esibissero
strumentisti costituendo piccole orchestrine: dalla grandiosa esecuzione che
accompagnava la rappresentazione teatrale, alle feste e persino durante i
giochi circensi, come si può osservare su alcuni mosaici, come quello di Zliten
, in Libia, o quello conservato presso i Musei Vaticani (a sinistra e a destra rispettivamente nella figura
sottostante).
La piccola superficie rotonda di una moneta, mal si
presta alla raffigurazione di scene musicali complesse, come è invece possibile
su un pavimento o una parete. Ciò non di meno, la presenza di due o tre
esecutori musicali non è rara sui grossi contorniati e sesterzi imperiali.
|
Fig. 25. Dupondio di Domiziano (81-96 dC). |
|
Fig. 26. Medaglione di Marco Aurelio (/270-275 dC). |
[1] Ancor oggi osserviamo in tutte le società cosiddette “primitive” che la musica è sempre, o quasi sempre, un fatto sociale, anziché individuale.
[2] Bisogna innanzi tutto premettere che i termini moderni che utilizziamo per identificare gli strumenti non sono sempre stati gli stessi presso le varie popolazione antiche per cui i termini diversi hanno spesso causato imprecisioni e "qui pro quo". L’arpa è uno strumento con struttura ad arco e più tardi triangolare, le cui corde corrono obliquamente dalla cassa al collo dove sono fissate. Le arpe che si usavano comunemente dal VII secolo in Grecia e che diventarono sempre più popolari nell’epoca ellenistica, derivavano dalle arpe egizie, ed erano di diversa grandezza. Le loro corde arrivarono anche ad un massimo di 35. La lira è uno strumento quadrangolare le cui corde scorrono dalla base fino alla traversa, sostenuta perpendicolarmente dalle braccia, che vengono inserite nella base. La cetra o citara è simile alla lira, ma presenta sempre una cassa armonica realizzata in legno, della quale le braccia ne costituiscono un elemento, anziché esserne separate.
[3] L’armonia greco-romana inizialmente si basava sul tetracordo, la-sol bemolle-fa-mi.
[4] Tra i quali va annoverato Nerone, che al di là della sua pazzia e delle esagerazioni degli storici, fu un musicista di grande rilievo.
Lamoneta.it (Manuale) ® |