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GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA MONETAZIONE CLASSICA Lamoneta.it (Manuale)
Autore: Alberto Trivero Rivera - Novembre 2007 ©
con la collaborazione degli amici di Lamoneta.it
Agrippa, Arthas, Legionario, Medusa, Numa Numa, Podalirio, Scalptor

INDICE (link all'argomento):


    1 - UN MERAVIGLIOSO MONDO DI SUONI

    2 - DALLO ZUFOLO AL FLAUTO DI PAN E ALL'OBOE

    3 - ARPE, LIRE E CETRE

    4 - GLI STRUMENTI PER RITMARE

    5 - L'ORGANO IDRAULICO

    6 - IL GRUPPO MUSICALE
















1) Un meraviglioso mondo di suoni



Sin dalla sua più lontana origine, l’uomo viveva immerso in un mondo di suoni affascinanti: il fruscio del vento tra le fronde, lo sciabordio del ruscello tra le pietre, il frinire delle cicale al tramonto. Suoni capaci di trasmettere profonde emozioni, ora di serenità, come il canto degli usignoli prima ancora che il sole si affacci al nuovo giorno; oppure inquietudine e timore, come l’ululato del lupo o il cupo ruggire della tigre.

Per l’uomo antico, il suono era magico, divino: toccava le corde più profonde del suo sentire. Ascoltarlo, ma anche imitarlo. L’imitazione degli uccelli – animali magici per eccellenza poiché dotati del potere divino del volo – fu forse all’origine del canto, del tentativo di imitare quei suoni che tanto impattavano sul suo spirito.

La voce fu il primo strumento dell’uomo. Voce che imitava gli uccelli, ma anche il complesso suono del creato. Qualcosa, forse, ci resta ancora di quel primo canto primordiale: i “tenores” sardi corali vocalizzanti giustamente inserite nel patrimonio dell’umanità. Ma ben presto alla voce l’uomo aggiunse uno strumento naturale capace di modificarne ed ampliarne il suono: una grossa conchiglia a forma di corno. Ne troviamo un bellissimo esempio in una emilitra di Agrigento:

 

Fig. 1. Emilitra di Akragas (420-406 aC): sul verso, in esergo, il tritone che suona una conchiglia cornea.

 

L’uomo ancestrale si accorse che una foglia tesa inserita tra le labbra, esercitando la giusta pressione, soffiando emetteva un suono diverso da quelli usuali, in qualche modo modulabile in base al tipo di foglia, alla forma, a quanto fosse tesa… Scoprì l’ancia, alla base di tutta una famiglia di strumenti a fiato. Anche l’ancia, quindi, si aggiunse ai modi naturali di produrre suoni. Sempre ai primordi della storia umana, l’uomo si accorse che un cilindro cavo (un osso, una canna di bambù) chiusa ad una estremità, produceva un suono molti intenso se si soffiava trasversalmente sull’estremità aperta: lo zufolo e l’uomo si erano incontrati. Due pietre colpite tra loro, infine, forniva un’altra classe di suono. Ogni pietra aveva una sua sonorità propria, ma dotata di scarsa potenza. Ben diversa, invece, era la potenza del suono emesso da un oggetto cavo, un tronco, ad esempio.

Sin dai primordi, quindi, l’uomo utilizzava tanto la propria voce, quanto oggetti naturali, per imitare i suoni della natura, per arricchirla di suoni diversi, dei quali egli stesso era l’autore.

In epoche successive, al suono si aggiunse il ritmo, ovvero una regolarità nel tempo di emissione del suono medesimo. La percussione, probabilmente ottenuta con gusci di tartaruga od altri oggetti simili, facili da conservare e da trasportare nel nomadismo dei tempi, favorì la socializzazione, il “ritmare” insieme, ed il canto si trasformò profondamente. Da suoni dal tono non predefinito, imitativi della natura o semplicemente espressione di uno stato d’animo del momento, si trasformarono in successioni codificate di suoni, necessarie affinché, insieme alla ritmicità, fosse possibile in gruppo creare una sonorità gradita all’orecchio. Nacque, dunque, la melodia. Suoni, melodia, ritmo: ecco gli elementi che, insieme, danno vita alla musica e in questo processo fu fondamentale la socializzazione[1].

La conchiglia, la foglia usata come ancia, il cilindretto cavo, il guscio di una tartaruga, mal si prestavano ad un uso sociale, in quanto sì emettevano suoni, ognuno con un suo tono, ma privi di una tonalità comune, quindi incapaci di accompagnare la melodia del canto. I nostri progenitori, tuttavia, avevano osservato come il tono ottenuto soffiando sul bordo di una canna chiusa all’estremità, fosse diverso in relazione alla lunghezza e larghezza della canna stessa; ma anche come una fessura, od un foro, permettessero il passaggio da un tono all’altro, semplicemente aprendo o chiudendo lo stesso. Da questa osservazione derivò l’arte di modificare artificialmente un oggetto naturale che produceva un suono, in modo tale da poterne modificare il tono e consentire che questo stesso fosse intonato alla melodia del canto e consentisse a più persone di emettere insieme suoni tra loro armonici. Fu così che dallo zufolo si giunse al primo flauto. Ancora una volta la socialità rivestì un ruolo centrale nello stimolare il percorso che, iniziato con una semplice emissione di suoni che imitavano quelli naturali, si concluse con la capacità di “suonare in sintonia”. Ciò fu possibile quando l’uso di oggetti naturali come pietre, canne, tronchi svuotati, conchiglie, fu sostituito dalla fabbricazione di veri e propri strumenti musicali.

Nel mondo occidentale, ed in particolar modo nel bacino del Mediterraneo, la strumentazione musicale del mondo paleolitico incontra nella raffinata cultura egiziana l’artefice di una sua prima grande evoluzione. Il flauto si fa più complesso, con modelli differenti per forma e per materiale, che permettono estendere la scala musicale e produrre timbri assai diversi. L’applicazione di un’ancia consentì al mondo dei Faraoni di ottenere dal flauto sonorità del tutto nuove: nacque così l’oboe, tanto simile al flauto nella forma, ma così diverso nel timbro.

Si sviluppano diversi strumenti di percussione, Alcuni, di maggiore dimensione, sono costituiti da corpi cavi, una faccia dei quali è coperta da una pelle tesa sulla quale agisce un elemento di percussione: vengono così ideate diverse forme di tamburo e tamburello. Altri, più piccoli, hanno al loro interno l’elemento di percussione (semi, palline di creta o di metallo), oppure il suono viene prodotto dallo sbatacchiare di elementi metallici, generalmente discoidali.

 

 

 

Sempre presso gli egizi, già nelle prime dinastie vediamo come dall’arco musicale a più corde  fossero giunti alle prime arpe, antesignane degli strumenti a corda:  sono strumenti ormai molto  evoluti,  ma  che  non  nascondono le loro origine dall’utensile venatorio.

Quando la izzonte con la sua splendida rivoluzione culturale, dunque,

splendida rivoluzione culturale del mondo greco si affaccia all’orizzonte, dunque, il Mediterraneo è un’area ricca di musica e di numerosi strumenti musicali, ormai ben definiti e codificati.

La musica per la società greca è un fattore centrale della cultura. Già nel V secolo aC, il termine mousikòs anèr (uomo musicale) designava la persona colta, e, al contrario, con àmousos (privo di musicalità) la persona rozza. Il musicista, sia esso cantante o strumentista, entra a buon diritto nella élite della società e vi sono alcune testimonianze che fanno pensare che venissero prodotte medaglioni d’argento e d’oro per premiare i vincitori delle gare musicale, alla stregua dei campioni olimpici.

All’importanza sociale attribuita alla musica dal mondo greco, si aggiunse anche la determinazione dei criteri matematici che reggevano l’altezza dei toni, e con essi le dimensioni esatte che dovevano avere gli strumenti musicali per produrre la giusta intonazione, indispensabile affinché suonatori diversi potessero suonare in armonia. Questo straordinario lavoro teoretico si deve al genio di Pitagora (570-465 aC), il padre della teoria musicale.

 

Fig. 2. Sigillo romano del III secolo aC, raffigurante Pitagora.




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2) Dallo zufolo al flauto di Pan e all’oboe



La trasformazione dello zufolo monofonico in uno strumento polifonico, può avvenire in due modi: moltiplicando le canne dando ad esse una lunghezza scalare, il flauto di Pan; oppure inserendo delle tacche o dei fori in una canna allungata, in modo tale che l’apertura dell’uno o dell’altro foro ne modifichi la lunghezza effettiva, il flauto.

Il flauto di Pan risale alla notte dei tempi. Eppure il mondo greco lo percepì talmente proprio, che ne attribuirono l’invenzione ad una divinità del loro panteon: Pan. Questi si innamorò follemente ma non ricambiato di una ninfa, Syrinx. Tentò di possederla ed ella, per sfuggirgli, si trasformò in canna palustre, sicché Pan si trovò tra le mani un ciuffo di legnetti anziché le chiome della bella ninfa. Deluso, si mise a sospirare ed il suo sospiro vibrò dentro le canne, dando vita ad un suono dolce e disperato, Pan pensò che in quel modo avrebbe potuto possedere almeno il ricordo della ninfa: legò le canne dalla più corta alla più lunga e diede allo strumento il nome dell’amata: siringa. Non è dunque strano che il flauto di Pan appaia frequentemente sulla monetazione greca, soprattutto in Arcadia, mentre è assai rara la raffigurazione del suonatore di siringa.

 

Fig. 3. Obolo di Megalopoli (340 aC).

 

Fig. 4. Emilitra di Siracusa a nome di Timoleone (344-336 aC).

 

Fig. 5. Il dio Pan suona la siringa in un piccolo bronzo romano  di Pella (Macedonia), del tempo di Filippo II (247-249 dC).

 

 

Ad una dea, Pallade Atena, i greci attribuirono l’invenzione anche di un altro strumento a fiato, l’oboe (aulòs), che venne suonato soprattutto in una versione a doppia canna (diaulos), una di melodia ed una di bordone, invenzione attribuita alla musa della lirica, Euterpe. L’oboe a doppia canna è ancor oggi di uso frequente nella Palestina.

Fig. 6. Suonatore di diaulos. Bronzo di Apameia, Frigia (148-133 aC).

 

Fig. 7. La musa Euterpe con un diaulos. Denaro di Q. Pomponio Musa (66 aC).

 

La raffigurazione del flauto sulla monetazione greca pare essere assente, mentre è relativamente frequente quella del diaulos. Il fatto potrebbe stupire, considerando l’importanza attribuita al flauto dalla cultura greca: basti pensare al bellissimo mito di Orfeo. Probabilmente vi è una difficoltà di interpretazione dei termini e nella visione greca lo stesso Orfeo forse intonava le sue struggenti armonie con un diaulos, anziché con un flauto. 




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3) Arpe, lire e cetre



La determinazione delle regole fisiche che sovrintendono al tono realizzata da Pitagora, permise determinare la lunghezza esatta che doveva avere ogni corda od ogni canna per emettere una nota specifica. Ciò aprì la strada alla realizzazione di strumenti a corda via via più complessi, capaci da assicurare un’ampia gamma di armonie, sempre perfettamente intonate. Non stupisce, quindi, se gli strumenti a corda – arpe, e soprattutto, lire e cetre[2] – rappresentassero il fulcro della musica della Grecia classica. La musica della romanità, invece, pur usando ampiamente gli strumenti cordofoni, dava più rilievo agli ottoni – trombe, tube e corni – più consoni allo spirito dell’impero.

L’arpa, che appare frequentemente negli affreschi egizi, sembra invece assente nella monetazione greco-romana, sebbene di quando in quando appaia nella pittura fittile greca o negli affreschi romani.

Una delle più classiche rappresentazioni della cetra la ritroviamo su un bronzetto della Giudea, attribuito al tempo della rivolta di Bar Kohba. Si tratta della forma iniziale dello strumento: esso è ancora privo della cassa di risonanza, ha cinque corde, ed i bracci appaiono essere realizzati utilizzando due corna.

 

Fig. 8. Piccolo bronzo giudaico (Bar Kohba, 135-134 aC).

 

Sempre dalla Giudea ci giunge la rappresentazione di uno strumento molto simile, con tre corde, nel quale la dimensione della base, più massiccia e forse cava, mostra la ricerca di una maggiore sonorità grazie all’introduzione di una cassa armonica.

 

Fig. 9. Dracma della Giudea (Bar Kohba, 134-132 aC).

 

La cassa armonica, infatti, è essenziale per assicurare allo strumento non solo un suono più dolce ed armonioso, ma anche una sufficiente sonorità da poter essere abbinato ai fiati, senza restarne sopraffatto.

Una prima soluzione sembrerebbe essere assicurata dall’uso di una cucurbitacea, come si osserva in piccolo obolo di Canusio (Apulia).

 

 

Fig. 10. Obolo di Canusio (Abulia), 300-250 aC.

 

Fig. 11. Emidracma di Teos (Jonia), ca. 250 aC.

 

 

La soluzione che sembra essere stata più gradita – ed infatti si è protratta per non meno di 4 secoli – è data dall’adozione di un guscio di tartaruga, al quale si sovrappone una pelle bovina, stesa a guisa di tamburo. La rappresentazione di questa lira, che nel mondo greco appare codificata a quattro corde[3], si ritrova su numerose monete, tanto greche, quanto romane.

 

Fig.11. Bronzo di Thespia (Beozia), 210 aC.

 

Fig. 12. Aureo di Augusto (27 aC – 14 dC).

 

 

Le lire greche più antiche avevano 4 corde e anch’esse erano di derivazione asiatica e africana. Terpandro, nel sec. VII aC., perfezionò la lira a 4 corde portandola a 7, precedendo l’evoluzione del sistema di notazione musicale che alcuni secoli dopo si trasformerà da tetracordo a eptacordo.

 

Fig. 13. Denaro di Papio Celsio (ca. 45 aC).

 

Quando il livello degli artisti lo consentì, si introdusse la cassa di risonanza in legno. A questo punto, il passo a realizzare in un corpo unico cassa di risonanza e bracci fu molto rapido e nacque la cetra. Ciò consentiva non solo di costruire strumenti di grande pregio estetico, ma anche di migliorare in modo straordinario la qualità del suono, raggiungendo livelli di tutto riguardo anche se confrontati con la liuteria attuale.

Inizialmente la cetra ebbe le corde collegate alla cassa armonica in modo non dissimile dalla lira.

 

Fig. 14. 12 ½ litre di Agatocle (Siracusa), 317-289 aC.

 

 

Con l’aggiunta del ponticello tra le corde ed il piano armonico, si compie un passo avanti molto importante in termini sia di qualità, che di intensità del suono.

 

Fig. 15. Emidracma di Alicarnasso

 

Progressivamente aumentò il numero di corde, che giunse sino ad un massimo di 12. Infine si risolse il problema di assicurare una tensione delle corde più precisa e facilmente dosabile, e così  una intonazione sempre più precisa, inserendo dei marchingegni collegati ad ogni corda, precursore degli attuali tiracantini. E’ così che finalmente l’evoluzione della cetra giunse al suo compimento, con la realizzazione di uno strumento dal timbro melodioso, dall’intonazione precisa e dotato di grande versatilità.

 

Fig. 16. Tetradramma di Olyntos (Calchidia), 432-348 aC.

 

Tanto la lira, come la cetra, veniva generalmente suonata tenendola sollevata con una mano, nei modelli più piccoli; in grembo, per quelli intermedi; appoggiata su di un tripode, per quelli di maggiore dimensione. I suonatori di cetra godevano di grande consenso sociale e non pochi imperatori romani si cimentarono – e talvolta brillarono[4] – in questo strumento, considerato dai greci come quello prediletto dagli dei.

 

 

Fig. 17.Cistoforo di Adriano per Hierapolis (Frigia), 117 dC.

 

Fig. 18. Piccolo bronzo di Gordiano III per la Bitinia, 238-244 dC.

 

Fig. 19. Asse di Gordiano III per la Tracia, 238-244 dC.




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4) Gli strumenti per ritmare



La realizzazione di strumenti in grado di assicurare intonazioni precise ed omogenee, stimolava la musica d’insieme. Con l’invenzione della cassa di risonanza, gli strumenti a corda non erano più soffocati dall’intensità di quelli a fiato ed inoltre i primi potevano agevolmente essere accordati con i secondi aggiustando finemente la tensione dell’accordatura. Ai gruppi musicali, già dotati di un’ampia gamma di armonia e sonorità, si aggiungevano gli strumenti di percussione in grado di completare l’insieme assicurando una migliore ritmicità.

Al proposito, il mondo greco aveva già a disposizione una gamma di strumenti provenienti dai tempi più remoti, già sufficientemente perfezionati. Ad essi vennero date forme esteticamente più belle o più decorative, ed altri miglioramenti furono ottenuti nella scelta dei materiali con i quali realizzarli.

Il suono grave veniva assicurato dal timpano, un tamburo con un diametro che oscillava tra i 20 ed i 45 centimetri, il cui corpo poteva essere di legno o ceramica, nei tipi più piccoli, o di bronzo, in quelli maggiori. Generalmente veniva suonato appoggiandolo in grembo e percotendolo con la palma delle mani. Venne adottato dai romani senza variazione alcuna.

 

Fig. 20. Aureo di Faustina (145-161 dC).

 

Fig 21. Dupondio di Gordiano III per Antiochia, 238-244 dC.

 

Per assicurare un suono più allegro e vivace, era frequente l’uso del sistro: questo, di origine egiziana, consisteva in una lamina metallica a ferro di cavallo, trapassata da tre o quattro asticciole mobili e terminante in un manico dritto, scotendo il quale si otteneva un suono molto caratteristico.

Fig. 22. Asse di Giuliano II, 360-363 dC.

 

Le nacchere o crotali, infine, trovavano impiego anche nella musica d’insieme, e non solo nella danza.

 

Fig. 23. Statere di Corinto (386-307 aC).




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5) L’organo idraulico



L’organo idraulico fu il più complesso strumento musicale del mondo classico. Plinio ne attribuisce l’invenzione a Ctesibio, un matematico alessandrino che verso la metà del III secolo aC fu direttore del museo della città. Sua moglie Thais ne fu una virtuosa famosissima, tanto che il suo nome è quello del primo esecutore strumentale di cui si abbia memoria. La complessità della sua costruzione e la necessità per l’esecutore di essere coadiuvato da una o due persone, ne limitarono grandemente la diffusione.

Nella monetazione greca non appare. Esso, invece, lo ritroviamo su alcuni rarissimi contorniati o medaglioni romani, le caratteristiche dei quali fanno ragionevolmente supporre che fossero stati realizzati in modo specifico per premiare i migliori virtuosi dello strumento, forse in occasione di certami musicali, alla stregua dei vincitori olimpici.

 

Fig. 24. Contorniato di Valentiniano III (a sin.) e di Nerone (a destra).

 

Nei due esempi riportati, entrambi presenti nel Cabinet des Medailles di Parigi, appaiono rispettivamente i nomi di Petrus e di Laurentius: è plausibile che siano due virtuosi dello strumento, premiati con il medaglione realizzato ad hoc.




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6) Il gruppo musicale



Nel mondo greco era ben presente e molto apprezzata l’esecuzione strumentale realizzata in gruppo, ovvero l’orchestra, e quello romano ne fu l’erede.

Nella seconda metà del ‘500, sorse una vivace disputa tra gli accademici fiorentini se la tragedia greca fosse interamente cantata, oppure se i momenti musicali ed i cori ne costituissero un complemento: Peri, Caccini, Bardi e Monteverdi ne furono tra i protagonisti. La stessa parola “tragedia” contiene la radice adein (=cantare) ed il coro ne rivestiva una funzione centrale, non certo marginale. Al coro corrispondeva non solo il canto, ma anche la danza: da lì il termine orchestra, da orcheomain (=danzare).

Originariamente, la tragedia fu strettamente connessa al culto di Dionisio ed al sacrificio del caprone che lo accompagnava, il quale avveniva tra canti accompagnati da suonatori di crotali, timpani, flauti. Già nel VI secolo aC perde il suo carattere dionisiaco, per assumere quello propriamente teatrale e lirico tramandato sino ai giorni nostri.

Sia che fosse interamente musicato, oppure che alternasse musica, canto e recitazione, il teatro greco era uno spettacolo di massa, non elitario, al quale partecipava la polis nella totalità delle sue componenti sociali.

Vi erano molteplici occasioni perché si esibissero strumentisti costituendo piccole orchestrine: dalla grandiosa esecuzione che accompagnava la rappresentazione teatrale, alle feste e persino durante i giochi circensi, come si può osservare su alcuni mosaici, come quello di Zliten , in Libia, o quello conservato presso i Musei Vaticani (a sinistra e a destra rispettivamente nella figura sottostante).

 

 

 

La piccola superficie rotonda di una moneta, mal si presta alla raffigurazione di scene musicali complesse, come è invece possibile su un pavimento o una parete. Ciò non di meno, la presenza di due o tre esecutori musicali non è rara sui grossi contorniati e sesterzi imperiali.

 

Fig. 25. Dupondio di Domiziano (81-96 dC).

 

Fig. 26. Medaglione di Marco Aurelio (/270-275 dC).

 

 



NOTE:

[1] Ancor oggi osserviamo in tutte le società cosiddette “primitive” che la  musica è sempre, o quasi sempre, un fatto sociale, anziché individuale.

[2] Bisogna innanzi tutto premettere che i termini moderni che utilizziamo per identificare gli strumenti non sono sempre stati gli stessi presso le varie popolazione antiche per cui i termini diversi hanno spesso causato imprecisioni e "qui pro quo". L’arpa è uno strumento con struttura ad arco e più tardi triangolare, le cui corde corrono obliquamente dalla cassa al collo dove sono fissate. Le arpe che si usavano comunemente dal VII secolo in Grecia e che diventarono sempre più popolari nell’epoca ellenistica, derivavano dalle arpe egizie, ed erano di diversa grandezza. Le loro corde arrivarono anche ad un massimo di 35. La lira è uno strumento quadrangolare le cui corde scorrono dalla base fino alla traversa, sostenuta perpendicolarmente dalle braccia, che vengono inserite nella base. La cetra o citara è simile alla lira, ma presenta sempre una cassa armonica realizzata in legno, della quale le braccia ne costituiscono un elemento, anziché esserne separate.

[3] L’armonia greco-romana inizialmente si basava sul tetracordo, la-sol bemolle-fa-mi.

[4] Tra i quali va annoverato Nerone, che al di là della sua pazzia e delle esagerazioni degli storici, fu un musicista di grande rilievo.




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