Illustrano storie o cronache. Contengono spesso stemmi immaginari, come quelli
relativi ai Cavalieri della Tavola Rotonda o ai re sassoni. Si giunse però anche
a eccessi che sconfinano nel ridicolo, attribuendo ad alcuni personaggi
“storici” o comunque “famosi” degli stemmi che mai avrebbero potuto
portare, essendo l’araldica una disciplina di molto successiva alla loro
morte. Alcuni esempi che valgono per tutti. Alcuni araldisti vollero dare
anche a Nostro Signore Gesù Cristo uno scudo, raffigurante gli strumenti
della Passione; altri attribuirono degli stemmi anche ai Dodici Apostoli,
basandosi sui vari racconti che di loro si fanno nel Vangelo, oppure sui loro
tradizionali parafernali, oppure ancora sugli strumenti del loro martirio. Ad
esempio nello “stemma” di S. Pietro si vedono due chiavi incrociate, in
quello di S. Matteo una borsa, in ricordo del suo mestiere di esattore; le
insegne di S. Giacomo Maggiore accolgono invece tre conchiglie, simbolo del
pellegrino.
Nel libro di Sylvanus Morgan (The Sphere of Gentry, cit., 1661), si afferma molto
seriamente che Adamo portava uno scudo rosso (fig.1.4.3.b), mentre Eva uno
stemma argento (fig.1.4.3.c). Successivamente alla creazione della donna, Adamo
sul suo scudo avrebbe portato un altro scudo in cuore (inescutcheon, in inglese)
con le armi di Eva, perché quest’ultima era la sua erede universale (fig.1.4.3.d)
(cfr. per questo uso la Parte 6).
Figura 3.6: | Scudi di Adamo ed Eva. |
Leggiamo anche, più oltre, che, dopo la caduta, Adamo portò sullo stemma
una ghirlanda di foglie di fico, e che Abele -- nel suo scudo -- inquartò lo scudo
paterno con una mela verde in ricordo di sua madre.
Un altro esempio di simili eccessi lo troviamo in Gerard Leigh (Accedence of
Armorie, cit., 1562), il quale insegna che le armi di Alessandro Magno furono: di
rosso, al leone d’oro seduto su un trono reggente un’ascia argento.
Questi esempi sono stati tratti da J. Parker (cit., passim).
Per quanto riguarda, invece, gli stemmi dei Cavalieri della Tavola Rotonda, si
deve far riferimento alla cosiddetta araldica arturiana, fiorita sui racconti del
XII-XIII secolo, quando gli scrittori, vista l’enorme popolarità di queste storie,
pensarono bene di dotare ogni cavaliere della Tavola Rotonda e re Artù di uno
stemma, così come si conveniva ad un nobile e coraggioso cavaliere, anche per
rendere più immediata l’identificazione di questo o quel personaggio nelle
immagini, nei dipinti e nelle miniature. Così, fin dal tardo XIII secolo, fu
completato almeno un insieme fisso e stabile di circa 30 stemmi, riportati da
Brault (Early Blazon, Oxford, 1972). Noi, e solo per curiosità, ne riportiamo
due.
Lo sviluppo dell’araldica arturiana ebbe un momento di stasi durante il XIV
secolo, per riprendere prepotentemente intorno al XV sec., soprattutto
in Francia, dove possiamo trovare già dal 1440 una serie di stemmi di
cavalieri della Tavola Rotonda. Pastoreau (Armorial des chevaliers de la
Table Ronde, Parigi, 1983; Le Léopard d’Or) ne riporta 74 serie distinte,
usate come riferimento da vari illustratori delle storie di Lancillotto e
Tristano, probabilmente derivate da un originale comune, perduto, del XIII
secolo.
Pastoreau (cit.) riporta 178 nomi di cavalieri, ognuno presente con uno stemma,
un motto, un cimiero. Mancano tuttavia personaggi importanti come (uno fra
tutti) il Mago Merlino.