Tra gli ornamenti araldici più antichi, occupa il primo posto l’elmo. Com’è noto, si tratta di un’arma difensiva posta sulla testa a protezione della stessa, in uso già presso Egiziani, Sumeri, Etruschi, Greci e praticamente presso tutti i popoli fin dall’antichità più remota (Età del bronzo), prima di cuoio poi di metallo.
Figura 16.1: | Riproduzione di un elmo dell’età del bronzo |
Figura 16.2: | Riproduzione di un elmo greco |
Lo studio dei sigilli ci permette più o meno agevolmente di tracciarne la storia e lo sviluppo durante il Medioevo, periodo in cui certamente l’elmo entra a far parte delle consuetudini araldiche. L’elmetto conico del XII secolo è detto normanno perché adottato proprio dai Normanni e diffusosi quindi anche in Inghilterra dopo la conquista di Guglielmo. Era questo l’elmetto che Goffredo d’Angiò cimava con un rametto di ginestra (cfr. 1.4). Ma il tipo più comune durante il XII secolo è un semplice copricapo con una appendice a protezione del naso, copricapo noto col nome di “elmetto a nasale”. Verso il 1170-1180 questo acquistò forma cilindrica, la cui sommità (detta timbro, da cui timbratura) era volte arrotondata, altre piatta. Fu quest’ultima forma che divenne prevalente durante il XII secolo. Fra il 1200 e il 1230, l’elmetto a nasale a timbro piatto si sviluppò in un elmo chiuso: il nasale si allarga a coprire le guance, la parte posteriore dell’elmetto scende fino alla nuca per proteggere tutto il collo, mentre le placche laterali racchiudono tutta la testa. È questo l’elmo tipico del XIV secolo, detto “tinare” o “pentolare”, le cui uniche aperture sono quelle per gli occhi, le orecchie e qualche foro di aerazione. È anche l’elmo tipico dei primi armoriali, specialmente Tedeschi. Il timbro è piatto fino verso il 1270, quando riacquista forma tondeggiante per tutto il XIV secolo. La parte inferiore dell’elmo (barbotto) si allunga fino alla base del collo dove viene fissata al resto dell’armatura tramite corde e viti, con lo scopo evidente di sollevare il cranio dal peso non indifferente dell’elmo, permettendo al peso di scaricarsi sull’armatura. Alla fine del XIV secolo comparvero i primi elmi a visiera mobile: lo Stechhelm (in tedesco Stech=lancia, helm=elmo, elmo da lancia, cioè da torneo).
Nel XV-XVI secolo si diffonde l’elmo chiuso con la parte superiore sferica e con la parte anteriore della visiera a punta. In seguito nacque l’elmo chiamato graticolato, arrotondato sia nella parte superiore che in quella anteriore della visiera, che era alleggerita e composta soltanto da una serie di affibbiature (grate).
L’avvento delle armi da fuoco snaturò l’elmo, alleggerendolo e producendo una sorta di cappello, detto cappello di ferro da cui si sviluppò anche il morione (tipico, ad esempio, delle guardie svizzere papali). Tuttavia questi non furono mai usati in araldica, con ogni probabilità perché non avevano un punto di appoggio sotto cui porre lo scudo. Gli elmi furono usati in araldica fino dal XIII secolo, e fra il XIV e il XV secolo furono usati tutti i vari tipi di elmo senza alcuna distinzione in merito al significato araldico.
Durante il Medioevo, l’uso di uno scudo timbrato non fu mai appannaggio dei soli nobili. Solo nel XVI secolo, in Francia, si tentò di riservarne l’uso ai soli nobili, ma questa legge fu fatta esclusivamente con intenti fiscali e per di più fu scarsamente applicata, tanto che ognuno continuava ad usare -- se lo desiderava -- l’elmo nel suo stemma araldico, nobile o borghese che fosse. Un elmo con la visiera alzata, si dice aperto, diversamente chiuso. Se è rifinito di un altro smalto, questo va blasonato.
Elmo rifinito (cordonato) d’oro.
Gli araldisti dei secoli XVII-XVIII vollero cercare di stabilire una gerarchia fra gli elmi, gerarchia che doveva ricordare tramite questi il titolo del possessore dello scudo. I diversi elmi venivano classificati in base al metallo: oro, argento, acciaio brunito; in base alla posizione: di fronte, di , di profilo a destra o a sinistra; in base all’angolo di apertura della visiera e al numero di griglie di quest’ultima.
In pratica, afferma M. Pastoreau, colore, posizione, apertura dell’elmo non hanno storicamente nessun significato preciso.
Tuttavia, la tradizione araldica vuole che gli elmi vadano usati a seconda del titolo di chi li usa. Noi -- anche se siamo d’accordo con Pastoreau per quanto riguarda la non storicità di quest’abitudine -- riteniamo di non passare sotto silenzio queste precisazioni. Dobbiamo altresì riconoscere che in Inghilterra, già durante il regno di Elisabetta I (1558-1603), l’uso degli elmi è regolato da leggi precise (e di solito rispettate), che li assegnano a seconda del grado di nobiltà di chi li porta. Abbiamo così il seguente schema, valido per l’Inghilterra:
In Francia, invece, era in uso la seguente distinzione, basata soprattutto sulla posizione dell’elmo e sul numero di grate o griglie:
Per quanto riguarda l’Italia, rimandiamo appena oltre. Naturalmente, passando dall’elmo “reale” alla sua rappresentazione araldica, sono state introdotte delle modifiche, evidenziando certi particolari e nascondendone altri. Riportiamo qui sotto alcuni esempi di elmi “reali” e di rappresentazioni araldiche degli stessi.
Elmo da torneo del 1480
Elmo da torneo con visiera mobile del 1510
Elmo cerimoniale con visiera a grate del 1558
L’elmo va posto sopra lo scudo; se quest’ultimo è inclinato, va posto sulla parte più alta dello stesso. Se uno scudo è inquartato o partito è possibile timbrarlo usando tutti gli elmi di cui si ha diritto di fregiarsi. Se gli elmi in questione sono due, il principale va a dexter e l’altro a sinister, affrontati; se invece sono più di due e in numero dispari, il principale va posto al centro di fronte, altrimenti (se in numero pari) tanti a destra quanti a sinistra, riservando agli elmi principali la destra araldica. Vista la natura di “arma” dell’elmo, gli stemmi delle donne, degli ecclesiastici e degli enti morali non fanno uso di questa timbratura. Cerchiamo ora di definire quanto la tradizione araldica consiglia per gli stemmi italiani che usufruiscono dell’elmo. Facciamo principalmente riferimento al Regolamento Tecnico ad uso della Consulta Araldica, emanato con Regio Decreto n.234 il 13 aprile 1905 e successivi aggiornamenti dall’art.7 al 14 (cfr. Parte 12 ) e alla tradizione araldica.
Come si vede l’attenzione ai particolari è minuziosa, ma questa distinzione così precisa di solito non fu rispettata, tanto più che il citato Regolamento Tecnico afferma testualmente che:
gli elmi indicano la dignità a seconda degli smalti che li coprono e secondo la loro posizione, l’inclinazione della ventaglia e della bavaglia e la collana equestre della gorgiera. La superficie brunita o rabescata, le bordature o cordonature messe ad oro o ad argento, il numero dei cancelli nella visiera non danno indizi di dignità ˇciteż(art.8)ˇ/citeż.
La materia è quindi molto incerta, e per dedurre da uno stemma europeo (Inghilterra esclusa) timbrato la dignità del possessore, è opportuno non fare affidamento al solo elmo, ma piuttosto ad altri elementi, come la corona e il manto. Per quanto riguarda invece l’Inghilterra la distinzione della dignità in base agli elmi sembra essere stata sempre piuttosto precisa e abbastanza rispettata.
Facciamo ancora notare che a volte i cavalieri portano al collo dell’elmo un cordoncino con una medaglia distintiva dell’Ordine cavalleresco cui appartengono e, laddove previsto, della loro dignità all’interno dello stesso (cfr. parte 8).