L’uso puramente decorativo degli scudi araldici risale probabilmente al XIII
secolo. Esporre uno scudo, rendeva evidente il potere del possessore dello scudo
stesso, le sue proprietà, i suoi possedimenti feudali, il proprio stato “civile”, la
sua dignità nobiliare.
Stemmi araldici potevano essere scolpiti sulla superficie di una pietra,
eliminando il materiale fino ad una certa profondità, lasciando perciò il disegno
semplicemente sbozzato. In seguito le figure venivano rifinite. Quando
anche questa operazione (forse la più complessa e delicata) terminava, a
volte si procedeva alla incisione con piccoli segni del fondo dello stemma
appena scolpito, in modo da accentuarne l’aspetto tridimensionale. Si
procedeva quindi con la colorazione. Poiché i colori usati non erano stabili,
era necessario ogni tanto rinfrescarli. Ecco il motivo per cui oggi non
possiamo ammirare nella loro policromia che pochissimi lacerti di queste
opere.
Il primo esempio conosciuto di stemmi araldici scolpiti su pietra, è una serie di
scudi posti nelle arcate cieche del transetto nord dell’Abbazia di Westminster
(Londra).
Furono commissionati da Enrico III nel 1258, e raffigurano le armi del re insieme
a quelle delle case reali unite all’inglese da vincoli matrimoniali o di parentela,
nonché quelle dei principali vassalli.
Enrico III si era probabilmente ispirato alla corte francese di Luigi IX, dove, nella
Grande Sala del Tempio a Parigi le mura erano ricoperte da scudi di legno dipinti
con gli stemmi araldici della nobiltà francese.
Gli scudi araldici dei benefattori sono spesso presenti anche in altre parti di
numerose chiese, come ad esempio sui capitelli, sulle pareti, sulle volte...