La prima apparizione di princìpi araldici si fa risalire al XII secolo, come
invenzione del mondo cavalleresco derivata dalla necessità propria dell’araldo di
caratterizzare e individuare un certo individuo. In tempo di pace, l’insegna
permetteva di riconoscere i partecipanti ai tornei, in guerra consentiva di riconoscere
i combattenti chiusi in armature altrimenti pressoché identiche: Guglielmo il
Conquistatore (1028-1087) dovette togliersi l’elmo durante la battaglia di
Hastings (Inghilterra, 1066) per provare ai suoi di non essere morto (v.
fig.??1 ).
Sembra essere questa la ragione della nascita dell’araldica, ipotesi sostenuta anche da Neubecker in “Araldica, origine, simboli e significato” e da M. Pastoreau in “Traité d’héraldique”, mentre sono state abbandonate le teorie che vedevano per essa una diretta derivazione classica o dalle rune2 usate dalle popolazioni germanico-scandinave o, come sostengono Thomas Woodcock e John Martin Robinson3 una motivazione legata alla vanità dei singoli cavalieri, o ancora dalle effigi islamiche (posteriori di oltre 50 anni all’uso occidentale dell’araldica). Sembra che neppure si debba individuare la nascita dell’araldica durante le Crociate, anche se Sir Bernard Burke, King of Arms4 dell’Ulster, afferma il contrario: si dovrebbe piuttosto parlare di affermazione e “ufficializzazione” dell’uso dell’araldica durante le Crociate. Pare comunque ormai certo che i capitani degli eserciti cristiani della prima Crociata (1096-1099), approdati in Asia Minore dopo aver attraversato lo stretto del Bosforo, si accorsero immediatamente che non era possibile mantenere la sola distinzione della croce per tutto l’esercito. Si rendeva necessario quantomeno distinguere i corpi dell’armata per nazionalità. Così i vari eserciti assunsero la croce diversamente colorata: quello italiano azzurra, quello tedesco nera od oro, quello francese rossa (e poi bianca), quello inglese bianca (e poi rossa), i fiamminghi ed i sassoni verde, ecc.. Tuttavia l’araldica deve con ogni probabilità la propria origine allo sviluppo dell’armatura durante il Medioevo. Una semplice croce colorata permetteva infatti di distinguere la nazionalità del singolo cavaliere, ma nel clangore della battaglia, nel turbinio della lotta, bisognava sapere con certezza quali cavalieri si distinguevano per coraggio, o quelli che, al contrario, evitavano il combattimento per viltà o, ancora, chi fossero quelli catturati o feriti che perdevano la vita nella mischia. In effetti, fino a quando furono usati gli elmi a bacinetto, questi, lasciando scoperto il viso, pur con qualche difficoltà permettevano il riconoscimento del cavaliere, ma quando cominciarono ad essere usati gli elmi a becco di passero, a celata, a cancello, non vi fu modo di individuare il combattente. Si pensò allora di porre un segno distintivo per ciascun cavaliere: un simbolo che fosse adottato esclusivamente da un guerriero, il quale da quel momento sarebbe stato identificato a mezzo delle insegne che portava sul suo scudo, sull’elmo, sulla sopravveste o sulla gualdrappa del proprio cavallo. Per far ciò si rispolverarono gli elementi che caratterizzavano le famiglie, cioè quei simboli che ancora non costituivano uno stemma e che soltanto allora furono legati indissolubilmente al cavaliere: un binomio che diede origine all’araldica, la quale venne a porre ordine in un complesso e variopinto universo simbolico.