È il simbolo del potere spirituale del vescovo. Apparve negli scudi vescovili verso la metà del XIV secolo (appena più tardi in Italia). L’uso primitivo era quello di farla passare in palo o in banda ĦużsopraĦ/uż lo scudo, ma a partire dal XV secolo la si trova praticamente sempre posta in palo ĦużdietroĦ/uż lo scudo stesso.
Dapprima era riservata ai soli vescovi, ma ben presto ne fecero uso anche gli abati e le abbadesse. Gli arcivescovi fecero uso, invece, di una croce latina trifogliata o ricrocettata. Nel XVI secolo, primati e patriarchi fecero uso di una croce a doppia traversa per distinguersi dagli arcivescovi ordinari, ma questo uso fu ben presto imitato da questi ultimi, avendo i “semplici” vescovi cominciato a far uso della croce semplice. Tuttavia, specialmente nel XVII e XVIII secolo, gli artisti araldici fecero liberamente uso di questo ornamento, senza riguardo alla dignità di chi doveva portare lo scudo: ad esempio, gli stessi Diderot e D’Alembert, nella loro Enciclopedia (cit.), indicano che l’Arcivescovo Primate porta la croce astile con la doppia traversa, mentre l’Arcivescovo la porta normale.
Ci siamo preoccupati di riportare il tipo di croce astile portata dalle varie dignità ecclesiastiche in 4.3.3, al fine di semplificare la consultazione.
Riassumendo possiamo dire che la croce a doppia traversa è attualmente di pertinenza di patriarchi, metropoliti, primati e arcivescovi, mentre quella semplice indica i vescovi. Non è opportuno fare riferimento a questo ornamento, come già detto, per stemmi anteriori al XVIII secolo, se non con le opportune attenzioni.